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Pubblicazione : 04/06/2014
Rapporto Istat 2014: la situazione nel Paese
Nascite al minimo storico da vent’anni a questa parte, aumento dell’emigrazione, soprattutto per i giovani, padri e madri di famiglia disoccupati cresciuti di oltre mezzo milione, infine, l’Italia continua ad essere uno dei Paesi europei dove è maggiore il divario nella distribuzione del reddito. Questi i dati salienti del Rapporto ISTAT presentato a Roma presso la Sala della Regina di Palazzo Montecitorio «Dal rapporto emerge un’Italia in grande sofferenza a causa della crisi economica che ha messo a dura prova il tessuto sociale, alcuni dati sono impressionanti e ci lanciano un messaggio di allarme che dovrebbe indurre a dare risposte immediate» ha commentato durante la conferenza stampa di presentazione del Rapporto la presidente della Camera Laura Boldrini. Uno dei dati più in evidenza è appunto quello riguardante le dinamiche demografiche: nel 2013 meno di 515 mila bambini iscritti all’anagrafe, 12 mila in meno rispetto al minimo storico registrato nel 1995. Questo dato è accompagnato da un’altra realtà: negli ultimi cinque anni sono andati via dall’Italia 94 mila giovani e tra questi i laureati sono 6340. Le mete privilegiate, poiché permettono di trovare impieghi con salari dignitosi, sono Regno Unito, Germania e Svizzera. Se da un lato aumenta il numero di emigrati italiani, dall’altro diminuisce il numero degli immigrati stranieri che arrivano in Italia (nel 2012 sono il 27,7% in meno rispetto il 2007) e cresce anche il numero di stranieri che esce dai confini italiani. Tutti questi dati confermano una situazione di crisi che non garantisce un futuro stabile e che invoglia quindi giovani e stranieri a trasferirsi altrove. Per la prima volta è diminuito anche il tasso di natalità delle donne straniere che partoriscono in Italia. Per quanto riguarda i dati relativi alla disoccupazione all’interno del Paese, risulta che siano i giovani ad essere i più colpiti dalla crisi: nel 2013 i 15-34enni occupati erano 1 milione e 803 mila in meno rispetto al 2008. I divari territoriali sono molto marcati rispetto questo dato: al Nord il tasso di occupazione di questa fascia d’età è pari al 50,1%, mentre nel Mezzogiorno il numero scende fino al 27,6%. In totale i disoccupati in Italia sono poco più di 3 milioni, ma in realtà il totale delle forze di lavoro potenziali raggiunge i 6,3 milioni di individui, visto che l’Istat calcola anche 3.205.000 di persone inattive. Il numero dei senza lavoro è salito al 56,4% nel 2013, mentre nel 2008 era pari al 45,1%: il totale dei disoccupati è raddoppiato dall’inizio della crisi. Infine l’l’Istat prevede un graduale ma non consistente aumento del PIL: quest’anno sarà pari allo 0,6%, nel 2015 la previsione è dell’1% e nel 2016 dell’1,4%. Questo incremento dovrebbe essere sostenuto da un miglioramento dei consumi interni. Risulta inoltre che le esportazioni nette lo scorso anno abbiano fornito un contributo di positivo alla crescita economica per 0,8 punti percentuali. Un intero capitolo del Rapporto è dedicato alla situazione economica delle famiglie: risultano in calo sia la spesa per consumi sia la propensione al risparmio (le famiglie, cioè pur accettando di non risparmiare o intaccando i risparmi precedentemente messi da parte non riescono a mantenere inalterato il livello dei propri consumi L’indicatore di povertà assoluta, stabile fino al 2011, sale di ben 2,3 punti percentuali nel 2012, attestandosi all’8% della popolazione. La grave deprivazione, dopo l’aumento registrato fra il 2010 e il 2012 (dal 6,9% al 14,5% della popolazione) registra un lieve miglioramento nel 2013, scendendo al 12,5%. Il rischio di persistenza in povertà, ovvero la condizione di povertà nell’anno corrente e in almeno due degli anni precedenti, è nel 2012 tra i più alti d’Europa (13,1 contro 9,7%). Si tratta di una condizione strutturale: le famiglie maggiormente esposte continuano a essere quelle residenti nel Mezzogiorno, quelle che vivono in affitto, con figli minori, con disoccupati o in cui il principale percettore di reddito ha un basso livello professionale e di istruzione. Il rischio di persistenza nella povertà raggiunge il 33,5% fra le famiglie monogenitori con figli minori. Nel Mezzogiorno è cinque volte più elevato che nel Nord, tre volte più elevato tra gli adulti sotto i 35 anni, due volte più elevato tra i disoccupati e gli inattivi. I trasferimenti sociali sono una parte significativa del reddito disponibile, soprattutto tra i poveri: nel 2012, quasi il 38% delle famiglie ha ricevuto trasferimenti sociali, per un ammontare pari a circa il 12% del reddito familiare disponibile. Al netto di tali trasferimenti, il rischio di povertà sarebbe di cinque punti percentuali superiore a quello osservato (24,4% contro 19,4%). Il rischio di povertà persistente salirebbe invece dal 13,1 al 17,8%. Gran parte delle famiglie ha un solo percettore di reddito. La fase di crisi economica ha mutato la struttura del reddito familiare: nel 2011, il 45,1% delle famiglie ha al suo interno un solo percettore di reddito (42,4% nel 2007), il 41,2% ne ha due e il 12,8% tre o più. I trattamenti pensionistici concorrono, più che in passato, a determinare le condizioni economiche delle famiglie. Tra il 2007 e il 2011, aumenta anche il contributo al reddito familiare di ogni singolo pensionato, pari in media al 43% (due punti percentuali in più). Scarica il Rapporto