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Pubblicazione : 07/05/2016
Premio Carlo Magno: L’Europa di Papa Francesco
Il 6 maggio scorso Papa Francesco ha ricevuto i massimi rappresentanti delle istituzioni europee che gli hanno consegnato il premio Carlo Magno, riservato a coloro che si sono particolarmente distinti nella costruzione dell’integrazione europea In un accorato discorso Francesco ha chiesto uno slancio nuovo e coraggioso per «questo amato continente» che ha in sé la capacità di rialzarsi dopo momenti difficili, come ha dimostrano nel secolo scorso dopo «la guerra più terribile che si ricordi». I padri fondatori hanno costruito un baluardo di pace fondato sulla «libera scelta del bene comune», rinunciando a fronteggiarsi e iniziando a edificare insieme quella casa Comune che oggi sembra però distante dall’«illuminato progetto costruito dai padri» e che una famiglia europea «divenuta lodevolmente più ampia» sembra sentire meno propria. C’è, nelle parole di Papa Francesco un perentorio rifiuto degli «egoismi» e dei «recinti particolari»: «Sono convinto che la rassegnazione e la stanchezza non appartengono all’anima dell’Europa» per la quale le difficoltà possono diventare «promotrici potenti di unità». Ricorda poi, il Pontefice, le parole da egli stesso pronunciate in occasione della sua visita al Parlamento europeo quando definì l’Europa una «nonna, stanca e invecchiata, non fertile e vitale» attenta più a dominare gli spazi che a generare processi di inclusione, trasformazione, e coinvolgimento di tutti gli attori nella ricerca di nuove soluzioni ai problemi attuali.
Che cosa ti è successo – si chiede e ci chiede il Papa - Europa umanistica, paladina dei diritti dell’uomo, della democrazia e della libertà, madre di popoli e nazioni, di grandi uomini e donne che hanno saputo dare la vita per la dignità dei loro fratelli?.
Per tornare ad essere tutto questo è necessaria una «trasfusione di memoria», la stessa che evoca Elie Wiesel e che Papa Francesco sembra chiedere in particolare ai molti politici presenti in sala. E' la trasfusione di memoria che ci impedirà di ripetere gli errori del passato e che tratterrà dal cedere alla tentazione di «fabbricare in fretta sulle sabbie mobili dei risultati immediati di una rendita politica facile, rapida ed effimera», obbligandoci a a guardare invece alla costruzione della «pienezza umana», Fare memoria significa guardare ai padri fondatori, «araldi della pace e dell’avvenire» che «osarono trasformare radicalmente i modelli»  e cercare soluzioni multilaterali ai problemi che poco a poco diventarono comuni». È nella trasfusione di memoria che pone le basi il «nuovo umanesimo» che il Papa chiede oggi all’Europa, un umanesimo basata su: Capacità di integrare: nelle nostre città, rifuggendo dai riduzionismi e dagli intenti uniformanti che non generano valore e condannano i nostri popoli alla «crudele povertà dell’esclusione». Capacità di dialogare: la parola dialogo deve essere ripetuta e agita fino a stancarsi, praticando un vero e proprio «apprendistato», un «ascesi» che ci aiuti a riconoscere l’altro come un interlocutore valido Capacità di generare: tutti sono parte attiva della costruzione di una società integrata e riconciliata e un ruolo-chiave in questo ce l’hanno i giovani a cui bisogna lasciare spazio, offrire opportunità e valori. Tocca alla politica costruire le condizioni per questo nuovo umanesimo: è la politica che deve «allargare lo sguardo e per riconoscere un bene più grande che porterà benefici a tutti noi» e per promuovere una solidarietà che non sia confusa con l’elemosina: e che sia vera creazione di  opportunità per lo sviluppo e la dignità di tutti». Tocca alla politica costruire le condizioni del dialogo, impegnandosi per una soluzione diversa dei conflitti e per la costruzione di nuove coalizioni «culturali, filosofiche ed educative». Tocca, infine alla politica creare le condizioni per il protagonismo generativo dei giovani, che non è reale se non a partire da un «lavoro degno» in cui realizzare molteplici dimensioni della propria vita, ma non si crea lavoro se non si pasa dall’attuale «modello di economa liquida all’economia sociale». Alle ultime parole del suo discorso, Papa Francesco affida il suo sogno per l’Europa:
Sogno un’Europa giovane, capace di essere ancora madre: una madre che abbia vita, perché rispetta la vita e offre speranze di vita. Sogno un’Europa che si prende cura del bambino, che soccorre come un fratello il povero e chi arriva in cerca di accoglienza perché non ha più nulla e chiede riparo. Sogno un’Europa che ascolta e valorizza le persone malate e anziane, perché non siano ridotte a improduttivi oggetti di scarto. Sogno un’Europa, in cui essere migrante non è delitto, bensì un invito ad un maggior impegno con la dignità di tutto l’essere umano. Sogno un’Europa dove i giovani respirano l’aria pulita dell’onestà, amano la bellezza della cultura e di una vita semplice, non inquinata dagli infiniti bisogni del consumismo; dove sposarsi e avere figli sono una responsabilità e una gioia grande, non un problema dato dalla mancanza di un lavoro sufficientemente stabile. Sogno un’Europa delle famiglie, con politiche veramente effettive, incentrate sui volti più che sui numeri, sulle nascite dei figli più che sull’aumento dei beni. Sogno un’Europa che promuove e tutela i diritti di ciascuno, senza dimenticare i doveri verso tutti. Sogno un’Europa di cui non si possa dire che il suo impegno per i diritti umani è stato la sua ultima utopia.  
Testo integrale del discorso