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Pubblicazione : 10/01/2018
Terremoto in Centro Italia: testimonianze di solidarietà

All’indomani del terremoto del 2016 la delegazione Regionale Caritas Piemonte-Valle d’Aosta ha attivato un gemellaggio con Caritas Marche e la Diocesi di Torino ha iniziato un lavoro comune con quella di Ascoli. Nell’ambito del gemellaggio regionale quattro volontari provenienti dal Piemonte hanno trascorso un po’ del loro tempo (spesso in coincidenza con le loro vacanze) nei luoghi colpiti dal sisma e il direttore di Caritas Torino Pierluigi Dovis ha visitato Ascoli Piceno. Presentiamo uno stralcio della testimonanza di Michele Burzio, diacono e collaboratore pastorale presso le parrocchie di Rivoli, e di sua moglie Olga, Assistente sociale, ma anche volontaria molto impegnata nel dare forma quotidiana all’azione di Caritas, due dei quattro volontari che, nell’ambito del gemellaggio con Caritas Marche si sono spesi per portare la loro solidarietà alle persone colpite.

Dove siete stati esattamente?

«Eravamo a Montemonaco e siamo stati ospiti di “Casa Gioiosa”, struttura di proprietà della diocesi di San Benedetto del Tronto/Ripatransone/Montalto che durante l’inverno ha ospitato alcuni sfollati e, nel cui cortile, una struttura prefabbricata è stata ed è scuola materna per i bambini del paese. Non solo, la cappella di Casa Gioiosa è, ad oggi, la sola chiesa utilizzata. Tutte le altre (alcune delle quali di valore storico e artistico) sono state chiuse e dichiarate inagibili.»

Che idea vi siete fatti delle condizioni di vita e degli stati d’animo degli abitanti di Montemonaco?

«Abbiamo incontrato e ascoltato molti anziani, persone che vivono lì tutto l’anno o buona parte di esso, magari con l’eccezione dei mesi invernali. I racconti spontanei delle persone, in un clima di accoglienza e di disponibilità, hanno riguardato soprattutto le due scosse di terremoto (più vivo il ricordo di quella di ottobre 2016) e la nevicata dell’inverno successivo. Il sentimento prevalente è quello della paura che ancora rimane forte, dell'amarezza nel vedere un paese che si sta spopolando, del senso di impotenza data dal vedere che dopo un anno tutto è rimasto come dopo il sisma. La paura porta molti nuclei ad avere una roulotte vicino alla casa considerata agibile, da subito utilizzata nei giorni e mesi successivi al sisma; in particolare sono i bambini che richiedono di dormire in roulotte».

Che cosa vi hanno raccontato dei soccorsi e degli interventi del dopoterremoto?

«Non abbiamo raccolto molti commenti sull'operato degli Enti Locali o Nazionali, e questo potrebbe essere la conseguenza del senso di sfiducia.»

Che cosa portate con voi dopo questa esperienza?

«Il ringraziamento nell'averli ascoltati e l'invito a ritornare ancora a trovarli ci fa pensare che abbiano apprezzato questa vicinanza disinteressata. Pensiamo di poter dire che la nostra presenza, seppur breve, presso questa comunità sia stata positiva e che sia stato importante anche per questa popolazione, sentire che nei loro confronti esiste interesse e partecipazione alla loro fatica e trauma; per noi è stata una concreta e reale occasione per apprendere informazioni diverse da quelle che sono normalmente veicolate dai media. Con un po’ di rammarico abbiamo la sensazione che il paese possa rischiare di spegnersi per paura, per mancanza di speranza, per l'età media dei residenti (alta) e per la scarsa unione e capacità di collaborare. Anche l‘economia locale, basata su una fiorente agricoltura, sull’allevamento e sul turismo (molti alberghi e agriturismi oggi non agibili accoglievano persone in viaggio verso Roma), ha subito un duro colpo ma, tranne alcuni casi, il problema economico non è così rilevante».

A quali attività avete dedicato il vostro tempo a Montemonaco?

«Abbiamo partecipato alla mappature dei bisogni del territorio e abbiamo incontrato alcuni operatori economici locali, in particolare agricoltori – tra cui quello che ha ricevuto da Caritas Marche una piccola mietitrebbia da utilizzare per la sua produzione di farro e lenticchie - , allevatori – in particolare uno che ha dovuto ricoverare i suoi capi presso un altro allevatore e trasferirsi presso un conoscente – e operatori del settore turistico – un ristoratore che ha trasferito l’attività a Porto Recanati. Abbiamo inoltre visitato tensostrutture e prefabbricati in cui vengono ospitati gli animali, vista l’inagibilità di molte stalle.»

Per quello che avete visto voi, che cosa si dovrebbe fare per fare ripartire Montemonaco e gli altri paesi che vivono situazioni analoghe?

«Possiamo fare solo alcune piccole proposte, sottolineando che il rischio più grande è il rischio di isolamento che nella stagione invernale è ancora più marcato. In primo luogo, ci sembra sia necessaria una presenza religiosa più costante, priorità indicata anche dalla Caritas. Inoltre, potrebbe essere utile invitare a piccoli gruppi alcune famiglie e persone a pranzo con gli operatori, per favorire l’ascolto la vicinanza e la convivialità; questa proposta incontra però delle difficoltà in quanto a breve, per la diminuzione delle temperature, non si potrà più utilizzare Casa Gioiosa. Infine, è necessario incentivare la presenza presso Casa Gioiosa di gite/pellegrinaggi provenienti dalle parrocchie. Montemonaco è situata presso il parco dei Monti Sibillini ed è vicina a luoghi di interesse.»

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