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Pubblicazione : 10/01/2018
Europa Fragile: fare di più per giovani e lavoratori poveri

Anche se in tutta l’UE i principali indicatori macro-economici sembrano aver abbandonato i livelli degli anni più bui della crisi, molto resta da fare per ridurre il rischio di povertà e di esclusione sociale di alcune categorie di cittadini europei.

Tra queste ci sono sicuramente i lavoratori poveri (working poor) cioè coloro che pur avendo un lavoro non riescono a conseguire un reddito sufficiente al sostentamento proprio e della propria famiglia.

Ci sono anche i ragazzi che smettono di studiare e di formarsi rinunciando al contempo a cercare un lavoro: sono i cosiddetti NEET (Not in Education, Employment or Trainig).

Secondo gli ultimi dati pubblicati dalla Commissione Europea (2017) un lavoratore europeo su dieci può definirsi lavoratore povero. Anche a partire da questo dato, probabilmente,  il pilastro europeo dei diritti sociali, varato nel 2017, il contrasto alla povertà lavorativa diventa un obiettivo che UE e Stati membri sono chiamati a perseguire esplicitamente con misure e politiche ad hoc.

«Il diffondersi di contratti di lavoro atipici, che non configurano cioè rapporti di lavoro dipendente, ha comportato la crescita esponenziale del rischio di povertà lavorativa in molti Stati UE» si legge nell’ultimo Rapporto sulla povertà lavorativa pubblicato dalla della Commissione Europea (novembre 2017).

I lavoratori poveri, sostengono gli Autori del Rapporto sulla base di dati Eurostat (sistema UE-SILC), devono affrontare problemi di benessere soggettivo e mentale, vivono più spesso di altri in abitazioni inappropriate alle loro esigenze e devono confrontarsi con una rete di relazioni povera e spesso poco solidale.

 

Per questo è necessario, concludono gli Autori del Rapporto, che sia a livello UE, sia a livello di Stati membri si sviluppino specifiche azioni dirette e indirette e specifiche politiche di contrasto alla povertà lavorativa, nella ormai diffusa consapevolezza che garantire la presenza di singoli e famiglie dentro il mondo del lavoro è condizione necessaria ma non sufficiente a prevenire la povertà.

Dei NEET si è occupato l’Istituto europeo di Statistica (Eurostat) che stima in oltre 17 milioni il numero di 17-34enni dell’UE che non sono né a scuola né al lavoro (il 18,3% sul totale della popolazione compresa in questa fascia di età) e assegna all’Italia il triste primato europeo con una quota di NEET pari al 30% della popolazione dei 18/34enni,

L’universo dei NEET, osserva, però da tempo, la Fondazione per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro “Eurofund” è variegato e composito.

Ne fanno parte i disoccupati di medio periodo, che sono poco meno di un terzo (29,8%) definiti «moderatamente vulnerabili» in quanto essendo disoccupati da meno di un anno e permanendo attivi nella ricerca di un lavoro non hanno ancora subito deterioramenti di competenze e formabilità.

Decisamente più vulnerabili sono i disoccupati di lungo periodo (22%) per i qual il succitato deterioramento si è già avviato e rallenta l’attivismo nella ricerca del lavoro.

In una condizione di vulnerabilità intermedia sono coloro che a causa di carichi familiari hanno dovuto interrompere gli studi e non hanno potuto provare ad entrare nel mondo del lavoro. I NEET che presentano queste caratteristiche sono il 15% del totale e sono per la stragrande maggioranza donne, In questi casi il rischio di vulnerabilità aumenta con il trascorrere del tempo perché può prospettarsi  na «via senza uscita».

Le altre categorie di NEET individuate da Eurofund sono:

  • i giovani con disabilità e malattia (6,8%) che sono oltre la vulnerabilità e, in assenza di una rete sociale solida, toccano con mano l’esclusione sociale;
  • gli scoraggiati (5,8%): molto concentrati nelle classi di età più elevate, sono convinti che non esista per loro un’opportunità di lavoro accessibile. Anche per questi ragazzi il rischio di una irreversibile esclusione è molto alto:
  • i rientranti (7,8%) che sono in assoluto i meno vulnerabili, avendo già intrapreso un percorso formativo o di reinserimento lavorativo che li porterà fuori dallo status di Neet.

A questi gruppi di cittadini particolarmente fragili dovremo guardare con attenzione tutti, decisori politici, forze sociali e attori economici, nell’anno che è appena iniziato. Dovrà farlo anche l’Europa, magari a partire dalla proposta di “New Deal sociale” redatta da una task force di alto livello (una ventina di esperti) coordinato da Romano Prodi.

La proposta, che verrà presentata a fine gennaio a Bruxelles, ma che è già stata oggetto di alcune anticipazioni di stampa, prevede lo stanziamento di 150 miliardi di euro all’anno in infrastrutture sociali, puntando soprattutto su salute istruzione ed edilizia.

Elemento-chiave della proposta è la piena attuazione del principio di sussidiarietà, con l’uso complementare di risorse europee, nazionali e locali,  ma anche con il coinvolgimento responsabile di investitori privati, in vista dell’obiettivo di ridurre le crescenti disuguaglianze tra regioni europee.